Non poteva che essere Ultra
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🔆 Ultra HDR
Ho parlato più volte di immagini in HDR ( 👉Apple EDR 👉HDR, quello vero ) affermando che secondo me sarà una rivoluzione nell’ambito fotografico come lo è strato il passaggio dall’analogico al digitale. Perché un’affermazione così forte? Perché l’ho provato, ho fatto svariati test, e mi sono reso conto delle potenzialità. Che poi sinceramente non è neanche così difficile da immaginare, sostanzialmente è quello che sperimentiamo quando guardiamo un video “normale” SDR e uno in HDR (con un hardware all’altezza degli standard ovviamente).
A distanza di qualche mese eccomi di nuovo qui a parlare di HDR e questa volta di Ultra HDR (ormai se una cosa non è Ultra non la vogliamo 😅).
Google pochi giorni fa ha annunciato al Google I/O (conferenza annuale dedicata agli sviluppatori) che su Android 14 (in uscita fra qualche mese) sarà introdotto un nuovo formato di immagine chiamato Ultra HDR. Sostanzialmente non è altro che il supporto alle immagini HDR come avviene già da anni su iOS (Apple lo chiama EDR) con un approccio più conservativo. Se da un lato Apple ha introdotto l’EDR con immagini salvate nel “nuovo” formato HEIF, Google ha deciso di rimanere sul formato JPEG.
Quando l’ho letto sono rimasto allibito, perché mai scegliere un formato morto e defunto come il JPEG? Si certo è il più diffuso senza ombra di dubbio, ma con altrettanta certezza sappiamo quanto sia tecnologicamente vecchio e superato ormai da una decina d’anni dai nuovi formati. Assimilando il funzionamento mi è apparsa chiara la logica alla base di questa strana scelta che potrebbe essere la chiave per dare il via definitivo alla diffusione delle immagini HDR.
Il principio alla base dell’Ultra HDR in formato JPEG è simile al quello dell’HDR HLG per il video, ovvero la retrocompatibilità del formato. Un JPEG standard non può supportare più di 8 bit e tutte le informazioni necessarie per descrivere un’immagine HDR, ecco perché questi dati extra vengono salvati a parte nel file, trattando il JPEG come se fosse un formato “container”. In questo modo un qualsiasi software (browser, app, sistema operativo, ecc.) che non supporta l’HDR leggerà comunque i dati del JPEG “standard” e sarà in grado di visualizzare l’immagine come sempre. Un software aggiornato invece sarà in grado di decodificare anche i dati extra visualizzando così un’immagine a gamma estesa a 10 bit!
A differenza di iOS, l’ecosistema Android è decisamente frammentato e ingestibile in un frangente di questo tipo. Se Google avesse introdotto le immagini in HDR con un nuovo formato come ha fatto Apple la gestione dei media da parte di tutti i produttori di smartphone e tablet Android sarebbe stata veramente difficoltosa. In questo modo invece hanno brillantemente superato il problema rendendo al 100% retrocompatibile il formato e dando la possibilità a tutti di utilizzare immagini Ultra HDR senza la minima preoccupazione.
Spero che questo tipo di approccio dia la spinta giusta per la diffusione di massa delle immagini HDR non solo per quelle che scattiamo e visualizziamo sullo smartphone ma anche nei servizi di pubblicazione come i social e il web. Potrebbe essere la volta buona che vediamo Instagram uscire dal tunnel dell’sRGB e abbracciare le immagini HDR che utilizzeranno tra l’altro (me lo auguro) uno spazio colore ampio come il Display P3 per evitare soglie nei gradienti.
Questa mossa di Google lascia ben sperare anche per la diffusione di questo standard sul web, di solito l’adozione di nuovi standard da parte di Google Chrome è abbastanza veloce, di nuovo spero che nel giro di poco tempo arrivi il supporto alle immagini HDR anche da parte del browser (e di conseguenza di tutti gli altri basati su Chromium).
Vista in quest’ottica molto probabilmente è il passo che serviva da parte di un gigante come Google per lanciare l’HDR nelle foto, la retrocompatibilità è la chiave di questo nuovo formato, ma sono sicuro che il destino del JPEG (sebbene con questa grande novità inaspettata abbia rimesso fuori un piede dalla fossa) sia segnato, il futuro ricadrà su formati ben più performanti come l’AVIF.
🌍 Road to Zero
Continuiamo a produrre troppa plastica, l’ecologia legata al design sicuramente ha fatto molti passi in avanti ma sono ancora pochi per la situazione in cui ci siamo messi nei confronti del nostro pianeta. Lo sforzo nel ridurre l’uso della plastica lo vedo molto legato all’ambito della plastica di bassa qualità, usa e getta (per quanto a priorità concordo sul fatto che sia giusto come approccio) ma penso sempre più spesso a come svanisca il pensiero di fare scelte più ecologiche quando si acquistano prodotti di un certo costo.
Quando paghiamo 4.000 € il nuovo corpo macchina sono certo che l’aspetto dell’impatto ambientale e della plastica utilizzata sia nell’ultima riga della colonna dei parametri di scelta, sempre se c’è. Sono oggetti che durano anni, l’impiego di plastica di alta qualità ha un suo senso, ma c’è sempre un ma, anche loro prima o poi finiranno il ciclo di vita (molto spesso in meno di 10 anni), e nel 2023 il pensiero “ci penseremo dopo” non può e non deve più trovare spazio nella nostra testa. Cosa si più fare? Come siamo messi oggi quanto ricerca e sviluppo?
Pochissimi sanno che Sony ha sviluppato un materiale plastico chiamato Sorplas™ ottenuto da plastica riciclata a partire da bottiglie e dischi ottici (CD) di scarto con l’aggiunta di un ritardante di fiamma proprietario che consente di poter riciclare nuovamente questa plastica più volte.
La plastica riciclata è già ampiamente usata nell’industria tecnologica, ma in media i prodotti sono ancora composti da circa il 70% di plastica vergine.
Sony ha utilizzato circa 379 tonnellate di Sorplas™ negli ultimi 10 anni all’interno e all’esterno delle sue videocamere e fotocamere riducendo del 60% l’utilizzo della plastica vergine.
Le emissioni di CO2 derivanti dalla produzione di Sorplas™ sono circa del 72% inferiori rispetto alla plastica vergine ignifuga usata nelle stesse applicazioni.
Sono convinto che in qualche altro tipo di prodotto questi dati e questo impegno sarebbero messi in prima vista ma nel mondo hi-tech specialmente nella fascia professionale queste cose sono di poca importanza, purtroppo, per il consumatore. È incredibile sapere che questo materiale è già utilizzato da 10 anni e non lo sapevamo.
L’ecologia ha spesso un costo alto, sia come impegno che prettamente economico. Dobbiamo metterci nell’ottica delle idee che quando acquistiamo qualcosa anche nel nostro ambito fotografico possiamo fare la nostra piccola parte per l’ecologia. I grossi marchi spinti sempre più dalla sensibilità e/o dalle leggi che puntano ad azzerare le emissioni di CO2 si stanno evolvendo sempre di più, quando acquistiamo i loro prodotti, che solitamente sono più costosi, dobbiamo essere consci che una parte di quel costo copre anche la ricerca e lo sviluppo di nuovi materiali più ecologici e gli alti costi di adeguamento per la produzione e il riciclo (vedi il progetto Daisy di Apple). Ed è giusto così.
Il problema sta al lato opposto: iniziamo a domandarci come vengono gestite queste cose quando acquistiamo prodotti a basso costo su Amazon (spesso accessori nel settore fotografico) di marchi poco conosciuti pur di risparmiare qualche euro pensando “ma si, costa poco se si rompe ne prendo uno di nuovo piuttosto che pagare in più per un prodotto di marca” alimentando sia l’uso di materiali plastici inquinanti sia un ciclo di vita estremamente ridotto vista la bassa qualità del prodotto. La prossima volta che acquistiamo un powerbank, una custodia, un supporto per la nostra macchina proviamo a farci qualche domanda in più. Mi metto in prima linea anch’io, sebbene sia abbastanza attento nelle scelte che faccio tutti i giorni dal cibo ai prodotti tech. Dobbiamo migliorarci, e dobbiamo farlo in fretta.
Per approfondire 👉 Sony SORPLAS™
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GrafiLite lampada di valutazione professionale per selezione e corrispondenza del colore 👉 calibrite.com
Nikon ha presentato la nuova Z8 👉 nikon.it 👉 fotocult.it
E quindi?
L’obiettivo di questa newsletter è trattare temi che rappresentano il futuro (ma anche il presente) dell’industria della content creation digitale.
Il giorno in cui qualcuno mi dirà di smetterla, lo farò. Promesso.
Il mio nome è Manuel Babolin e con altri due matti ho fondato PixelFactory, nel cui blog approfondisco alcune cose. Ho un progetto sulla gestione colore nei device digitali che si chiama Wide Gamut.